Affinchè la coltivazione di cannabis possa costituire reato bisogna che la condotta dell’agente sia idonea ad aumentare la disponibilità della sostanza stupefacente e aumenti la sua diffusione sul mercato.
Tale affermazione è quanto chiarito dalla pronuncia n. 5254 del 9 febbraio 2016 della Sesta Sezione penale della Cassazione: il caso è quello di due uomini che coltivavano all’interno dell’armadio dell’abitazione due piante di canapa i quali venivano trovati anche in possesso di 20 foglie della stessa pianta in un essiccatore.
I due erano stati condannati dai Giudici di merito in base ad un orientamento giurisprudenziale per cui la coltivazione di piante produttive di stupefacente sarebbe sempre punibile perché esclusa dagli artt. 75 e 73 dpr 309/90 dalla detenzione finalizzata all’uso personale, sanzionata solo amministrativamente.
E’ vero che la coltivazione non può essere direttamente collegata all’uso personale ed è punita di per sé per il carattere di aumento della disponibilità e della probabilità di ulteriore diffusione, mentre la detenzione è una condotta strettamente legata alla successiva destinazione della sostanza stupefacente dunque sarebbe punibile solo quando destinata a terzi e non invece se destinata all’uso personale, per la quale condotta si ha la sola sanzione amministrativa.
La Cassazione con la suddetta sentenza ha affermato però che proprio nell’individuazione del compimento dell’azione tipica nel singolo caso deve applicarsi la regola della verifica necessaria della sussistenza della offensività in concreto, cioè deve escludersi la punibilità di quelle condotte che sebbene tipiche non siano in concreto offensive.
Nel caso di specie è stata riconosciuta l’assenza di offensività nella condotta essendo la stessa di tale lievità da essere irrilevante come aumento di disponibilità dello stupefacente e non prospettabile un’ulteriore diffusione dello stesso.