I comportamenti vessatori ed anche le percosse del marito non consistono in maltrattamenti penalmente rilevanti se la donna ha un carattere forte. Lo ha deciso la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza 2 luglio 2010, n. 25138, con la quale si apre la strada ad un orientamento che non mancherà di suscitare aspre critiche, non solo da parte degli operatori del diritto.

Infatti un uomo è stato ritenuto penalmente non responsabile del reato di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.), anche se aveva tenuto un comportamento “domestico” raffigurato in continue ingiurie, offese umilianti, minacce e percosse. La Suprema Corte ribalta infatti il verdetto dei giudici di merito, evidenziando come non si possa parlare di vera e propria “sopraffazione” della moglie, nei confronti del marito violento, nel caso in cui la vittima possieda un carattere forte, e non sia per nulla intimorita dalla condotta dell’uomo.

La Corte infatti chiosa che deve escludersi che la compromissione del bene protetto si verifichi in presenza di semplici fatti che ledono ovvero mettono in pericolo l’incolumità personale, la libertà o l’onore di una persona della famiglia, essendo necessario, per la configurabilità del reato, che tali fatti siano la componente di una più ampia ed unitaria condotta abituale, idonea ad imporre un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile.

Pertanto, nel caso in cui esista una situazione di dissidio coniugale, nella quale vi siano reciproche offese e aggressioni fisiche, deve escludersi la configurabilità del reato di maltrattamenti. Infatti, quest’ultimo per essere integrato richiede che sia attribuibile al suo autore di una posizione di ripetuta prevaricazione alla quale la vittima soggiace. Se le violenze, le offese e le umiliazioni sono reciproche – anche se di diverso peso e gravità – non può dirsi che c’è un soggetto che maltratta ed uno che è maltrattato.

I Giudici di legittimità è addivenuta ad una sentenza di assoluzione basata sulla personalità della persona offesa dal reato, piuttosto che sulla condotta vessatoria in concreto tenuta dal soggetto agente, affermando l’insussistenza del maltrattamento nel caso in cui la moglie possieda un carattere particolarmente forte capace di resistere alle condotte intimidatrici del marito.