I creditori sociali possono esperire l’azione nei confronti degli amministratori se il patrimonio della società risulta insufficiente per la integrale soddisfazione dei loro crediti.

Gli amministratori possono quindi essere convenuti in giudizio:

  • dalla società;
  • dai creditori della società stessa.

È ancora controverso se l’azione di responsabilità dei creditori abbia natura di azione autonoma rispetto all’azione sociale ovvero sia la stessa azione sociale esercitata in via surrogatoria dai creditori sociali (per la natura surrogatoria, Cass. 04/12/1991, n. 13498; Cass. 28/02/1998, n. 2251; per l’autonomia dell’azione, Cass. 12/06/2007, n. 13765; Cass. 22/10/1998, n. 10488; Cass., SS.UU., 06/10/1981, n. 5241).

Se si riconosce l’azione natura surrogatoria si avranno i seguenti effetti:

  • quanto percepito dagli amministratori a titolo di risarcimento andrà a diretto vantaggio della società ed i creditori ne avranno solo un beneficio indiretto, in quanto viene incrementato il patrimonio sociale;
  • gli amministratori potranno opporre ai creditori tutte le eccezioni opponibili alla società;
  • si applica la causa di sospensione della prescrizione ex art. 2941, comma 1, n. 7, cod. civ.;
  • la società dovrà partecipare necessariamente al giudizio (litisconsorzio necessario ex art. 2900, comma 2, cod. civ.).

Pare comunque preferibile la tesi dell’autonomia dell’azione, anche per la considerazione che l’ordinamento prevede una pluralità di azioni di responsabilità fondate su diversi presupposti e con diversa causa petendi.

Peraltro, la legge non fornisce un chiarimento circa la natura della responsabilità prevista ex art. 2394 cod. civ.:

  • per alcuni è contrattuale, inadempimento di una obbligazione, sia pure posta dalla legge. Il creditore deve provare l’inadempimento e l’amministratore provare l’assenza di colpa (Cass. 09/07/1979, n. 3925);
  • per altri è extracontrattuale in quanto gli amministratori, terzi nel rapporto società-creditori sociali, violando norme poste a tutela dell’integrità patrimoniale sociale, pregiudicano i diritti dei creditori (Cass. 29/12/2017, n. 31204; Cass., SS.UU., 23/01/2017, n. 1641; Cass. 22/10/1998, n. 10488). Il creditore deve provare il fatto illecito e l’esistenza del dolo o della colpa.

Di certo causa della responsabilità non è solo la violazione di una precisa regola o obbligo di comportamento, ma anche una colpevole cattiva gestione che comporta l’insufficienza del patrimonio sociale a soddisfare i creditori.

In ogni caso il creditore che agisce in giudizio deve provare di essere creditore della società, ma non è necessario che il credito sia certo, liquido ed esigibile (App. Milano 26/02/1988).

L’azione è proposta contro gli amministratori responsabili dell’insufficienza patrimoniale, anche già cessati dall’incarico. In concreto gli amministratori rispondono:

– se sono colpevoli di inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio della società;

– se il patrimonio è divenuto insufficiente a soddisfare i creditori della società (per esempio a causa di una distribuzione di utili fittizi anche se con il consenso di tutti i soci).

L’insufficienza patrimoniale:

  • deve essere definitiva e non coincide con lo stato di dissesto o di insolvenza proprio del fallimento, difatti vi può essere insolvenza per mancanza di liquidità, anche se l’attivo sia superiore al passivo (Cass. 20/05/1993, n. 5736).
  • non s’identifica con la perdita integrale del capitale sociale, evento che non implica la perdita di ogni valore attivo del patrimonio sociale, dal momento che la cifra del capitale esprime solo il valore delle attività assoggettate ad un vincolo di indisponibilità a tutela dei creditori sociali e non si estende necessariamente a tutti i valori attivi compresi nel patrimonio della società.

Nella pratica l’azione di responsabilità è proposta dal curatore fallimentare, poiché è proprio in sede fallimentare che risulta più facilmente constatabile l’insufficienza del patrimonio sociale.

Può essere quindi conveniente per il creditore sociale, anziché procedere direttamente, ottenere l’apertura di una procedura fallimentare, nell’ambito della quale gli organi della procedura possono esperire l’azione contro gli amministratori (art. 2394-bis cod. civ.). Vero è che in tal caso l’azione del curatore è destinata ad incrementare la massa fallimentare, mentre, in assenza di una procedura fallimentare, l’azione esercitata direttamente dal creditore è a suo diretto vantaggio.

I creditori possono esperire l’azione nei confronti degli amministratori se il patrimonio della società risulta insufficiente per la integrale soddisfazione dei loro crediti. Vale a dire che il danno sofferto dai creditori è sempre compreso nel danno (che può essere più ampio) subito dalla società per la mala gestio degli amministratori.

L’azione di responsabilità dei creditori sociali ex art. 2394 cod. civ. verso gli amministratori per la lesione arrecata all’integrità del patrimonio sociale si prescrive in 5 anni ed il dies a quo (giorno iniziale) della prescrizione decorre dal momento in cui il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei crediti. L’onere di provare l’intervenuta prescrizione incombe sugli amministratori convenuti in giudizio.

Di norma, la prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere (art. 2935 cod. civ.), tuttavia con specifico riguardo alla decorrenza della prescrizione dell’azione di responsabilità promossa dal creditore sociale ex art. 2394 cod. civ., dottrina e giurisprudenza sono giunte a differenti conclusioni.

Attribuire alla conoscibilità dei creditori sociali dell’insufficienza del patrimonio sociale a soddisfare i crediti per il decorso della prescrizione dell’azione di responsabilità equivale a sacrificare le ragioni di tutela della certezza giuridica che l’ordinamento ha attribuito all’istituto della prescrizione.

La preferenza deve essere, quindi, accordata alla tesi più restrittiva che fa coincidere il dies a quo con l’esistenza, cioè con il verificarsi dell’insufficienza patrimoniale e non con la sua manifestazione.

Vero è che questa tesi non è accolta dalla prevalente giurisprudenza di legittimità che, invece, preferisce quella della decorrenza della prescrizione dalla manifestazione dell’insufficienza patrimoniale.

Tuttavia, questa opinione non è immune dal rischio di vanificare l’esigenza di certezza della prescrizione, aprendo un pericoloso varco ad una valutazione soggettiva della manifestazione dell’insufficienza patrimoniale da parte dei creditori sociali.