Nel 2011 i genitori di una (allora alunna) quattordicenne citavano in giudizio la scuola (e per essa il MIUR) deducendo che la minore, durante una gita scolastica, era rimasta vittima di un grave incidente cadendo da una lettiga del pronto soccorso sulla quale era stata adagiata in attesa di una visita neurologica. Mentre infatti si trovava distesa sulla barella (accompagnata da una ausiliaria della azienda ospedaliera e da uno dei propri insegnanti), veniva colta da una crisi epilettica e cadeva rovinosamente a terra procurandosi un trauma cranico.

In entrambi i gradi della fase di merito gli istanti risultavano soccombenti; anche la fase di legittimità non ha sortito migliori esiti.

Dinnanzi ai Giudici della Cassazione i ricorrenti avevano sostenuto come il ruolo della docente non si sarebbe potuto degradare a quello di semplice accompagnatrice; ritenevano invece che si sarebbe dovuto esaltare quello di soggetto comunque onerato di accertarsi che fossero state adottate tutte le soluzioni idonee ad evitare quanto poi accaduto(questo perché, è stato sostenuto, “così farebbe un genitore”).

La Corte (con Sentenza n. 29946 del 19.11.2019) ha rigettato il ricorso affermando, in sostanza, come (al di la del fatto che la insegnante non poteva certo prevedere l’insorgenza della crisi epilettica), dal momento in cui il paziente entra in contatto con la struttura sanitaria ed affidato alle cure del personale di essa, l’insegnante (che peraltro non possiede cognizioni mediche o infermieristiche) non ha certamente obblighi di “supervisionare” l’operato dei sanitari salvo il caso (limite) in cui tale operato risulti affetto da palese negligenza da poter essere apprezzato e percepito anche dall’accompagnatore insegnante.

La Corte afferma poi che, se anche al posto dell’insegnante ci fosse stato un genitore, la caduta si sarebbe verificata ugualmente.