Così si pronuncia la Commissione Tributaria Provinciale Molise-Campobasso, sez. I, con la recente sentenza n. 195 del 16.06.2014: l’amministrazione finanziaria che non risponde a domanda di autotutela del contribuente deve essere condannata a corrispondere un indennizzo a favore dell’interessato ai sensi dell’art. 96, ultimo comma, c.p.c..

Il caso è quello del contribuente che presenti una istanza di autotutela avverso un provvedimento impositivo della Pubblica Amministrazione e che non ottenga, di rimando, alcun riscontro nel termine previsto per legge per poter proporre ricorso innanzi all’autorità giudiziaria competente.

La sentenza in epigrafe, infatti, così recita « (la amministrazione finanziaria) ha l’obbligo, non solo morale, ma giuridico di emettere il provvedimento conclusivo, positivo o negativo […] prima della scadenza del termine concesso al contribuente per proporre ricorso», pertanto la mancata risposta dell’ente impositore (interrogato dal contribuente in autotutela) nel termine perentorio di sessanta giorni – da calcolarsi a partire dalla data di notifica del provvedimento impositivo iniziale –, termine prescritto ex art. 21 D.Lgs. 546 del 1992 (che detta le disposizioni specifiche per il procedimento tributario), manifesta la violazione di tale dovere e di talché la sussistenza della responsabilità aggravata a mente dell’art. 96, ult. co., c.p.c..

I fatti del processo

Il contenzioso fiscale da cui è scaturita la sentenza in epigrafe originava dalla presentazione del ricorso (da parte del contribuente) avverso avviso di accertamento emesso dalla Regione Molise il cui titolo era un asserito mancato pagamento (per l’anno 2010) della c.d. tassa di possesso dell’autovettura del contribuente stesso (bollo Aci).

Il ricorrente si opponeva nel merito alla pretesa della p.a. sostenendo di aver adempiuto al pagamento della tassa di cui sopra. Ma non solo. Oltre alla produzione di idonea documentazione comprovante l’effettivo versamento di quanto richiesto (attestazione dell’Aci) il contribuente lamentava altresì l’omessa risposta (da parte della Regione) a seguito di due istanze di autotutela inviate tramite pec a controparte, rispettivamente dopo 21 e 57 giorni dalla notifica del provvedimento.

In conclusione, per effetto di tale «inetto comportamento» dimostrato dalla Regione, il cittadino chiedeva anche la condanna alle spese del giudizio instaurato.

Di contro, parte resistente provvedeva – nelle more del processo – ad emettere il provvedimento di annullamento dell’avviso, affermando di non aver ricevuto “per un disguido” la prima comunicazione del ricorrente e, per effetto di ciò, chiedeva la cessazione della materia del contendere, nonché la compensazione delle spese.

La decisione dei giudici

La Commissione adita, sulla questione riguardante la condanna alle spese di giudizio (art. 15, D.Lgs. n. 546 del 1992), ha ritenuto pacificamente applicabile il c.d. principio della soccombenza anche «in caso di cessazione della materia del contendere», atteso che, nel contenzioso in esame, non siano ravvisabili «quelle gravi ed eccezionali ragioni» di compensazione delle spese processuali richieste dall’art. 92, II comma, c.p.c..

Ma non solo: indipendentemente dalla regola della soccombenza, i giudici hanno valutato il comportamento della Regione Molise in palese «contrasto con i principi di lealtà, collaborazione e buona fede sanciti dall’art. 12 della L. n. 212 del 2000 (c.d. Statuto del Contribuente)», giacché da un lato la citata P.A. non ha «giustificato la omessa tempestiva attuazione del potere di annullamento dopo ben due richieste del ricorrente» e dall’altro ha addotto che «la legge regionale fissa in 90 giorni il termine per la conclusione del procedimento di annullamento in autotutela».

A ben vedere, laddove il cittadino/contribuente depositi domanda di annullamento di un provvedimento impositivo (sottoposto ai termini perentori di impugnazione di 60 giorni dal momento della notifica del provvedimento stesso), l’ente impositore è obbligato a rispondere con un provvedimento conclusivo «prima della scadenza del termine concesso per proporre ricorso».

Questo è il nodo fondamentale sciolto dai giudici della Commissione Tributaria Provinciale di Campobasso, che si sono pronunciati nell’ottica di tutelare il contribuente ingiustamente ingiunto, oltre che di salvaguardare l’effettività del presidio garantistico previsto dall’istituto del ricorso/memorie da depositarsi in autotutela – istituto utilmente previsto dalla legge come prima possibilità di tutela in favore del contribuente che ritenga di esser stato reso destinatario di un provvedimento ingiusto od indebito, senza dover ricorrere necessariamente all’autorità giudiziaria competente.

In conclusione, in difetto di tempestiva risposta – che pertanto sussiste laddove la P.A. non riscontri le istanze del contribuente nei sessanta giorni dalla data di notifica del provvedimento impositivo (cfr. art. 21 D.Lgs. 546/92), a nulla rilevando il termine superiore eventualmente previsto da altre fonti normative, atteso che in tal modo si andrebbero a minare le basi di tutta la struttura della tutela del contribuente, presidio invece previsto ex lege –, ebbene, in caso di mancato tempestivo riscontro la sentenza recita chiaramente che la P.A. «manifesta un comportamento che rivela assoluta carenza del doveroso rispetto dei diritti del contribuente», pertanto, in siffatta ipotesi, sussiste l’elemento oggettivo della c.d. responsabilità aggravata ex art. 96, ult.co., c.p.c. – il cui disposto prevede che «il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata».

Con buona pace dei contribuenti onesti costretti a proporre ricorso in via giudiziale, dopo aver esperito vanamente la strada dell’autotutela (invano data la mancata risposta della p.a.), per non vedersi negate irrecuperabilmente le proprie ragioni, atteso che il termine di sessanta giorni è perentorio pertanto trascorso esso al contribuente non è dato più in alcun modo tutelare la propria posizione, anche laddove sia stato reso destinatario di sanzioni od ingiunzioni indebite.