Con la recente sentenza del 4 novembre 2021, n. 31836, gli Ermellini applicano i principi espressi nella nota pronuncia a Sezioni Unite 18287/2018.

In sostanza affermano che l’assegno di divorzio non spetta se fra i coniugi sussiste una lieve differenza reddituale, entrambi vivono in case di proprietà, la richiedente è economicamente indipendente e soprattutto non è dimostrato il contributo fornito da quest’ultima alla formazione del patrimonio comune e di quello dell’altro coniuge.

La Cassazione ricorda che l’assegno divorzile ha una natura composita, fra cui sussistono le funzioni assistenziale e compensativa.

Nel caso che la occupa la Corte ritiene, in particolare, generica la questione del mutuo gravante sulla coniuge richiedente per l’acquisto della casa in cui risiede e già confutati da parte del giudice di secondo grado gli elementi probatori da cui la moglie ha dedotto i maggiori introiti del marito, ossia l’acquisto di una nuova auto, l’iscrizione alla Camera di Commercio e l’esborso sostenuto per assumere un investigatore privato. Tali circostanze, per la Corte Suprema, non rivelano grosse differenze reddituali capaci di giustificare il riconoscimento dell’assegno.

Non è emerso, inoltre, in fase di giudizio di merito, un particolare contributo da parte della moglie alla formazione del patrimonio comune e dell’altro coniuge, requisito appunto richiesto dalla funzione compensativa dell’assegno di divorzio.

Nemmeno risulta ammissibile la contestazione relativa al mancato espletamento di un’indagine tributaria, poiché le prove raccolte hanno fornito al giudice elementi sufficienti a decidere sull’insussistenza dei presupposti richiesti per l’attribuzione dell’assegno divorzile.

Il potere di disporre o meno indagini tributarie e procedere a un approfondimento istruttorio, ricorda infatti la Cassazione, è un potere discrezionale del giudice, che non è obbligato a procedere in base alle richieste di parte.