La recentissima sentenza di Cassazione n. 2424/10 delinea con maggiore precisione i limiti dell’attività di accertamento integrativa da parte dell’Amministrazione.
In linea di principio la decisione sancisce in maniera compiuta che il “nomen iuris” dell’accertamento integrativo piuttosto che sostitutivo a nulla rileva essendo invece necessario esaminare il contenuto dell’atto.
L’accertamento integrativo è quello che si somma ad un atto già emesso senza sostituirlo. Tale attività integrativa, al fine di evitare “abusi” da parte dell’Amministrazione, trova un limite fondamentale che consiste nel sopravvenire di elementi nuovi che, a pena di nullità, dovranno essere compiutamente specificati in corpo all’atto.
L’accertamento sostitutivo non è invece, per funzione, soggetto ai limiti di cui sopra in quanto il nuovo atto comporta la caducazione di quello precedente e del quale l’Amministrazione intende rimuovere un vizio.
Posta la distinzione funzionale tra i due tipi di atto ritorniamo sull’elemento centrale dell’accertamento integrativo. Come già precisato dalla Suprema Corte con la decisione n. 14510 del 30 maggio 08 l’elemento di novità, che legittima l’integrazione, deve consistere in elementi oggettivamente nuovi e non già in una mera diversa o più approfondita valutazione di elementi probatori già assunti dall’Amministrazione e, come opportunamente precisato da Cass. 10526/06, tale elemento di novità non potrà essere integrato nemmeno da elementi diversi provenienti da altro organo della stessa Amministrazione finanziaria cui appartiene l’ufficio.
In relazione all’avviso sostitutivo che può aver luogo, contrariamente a quanto appena visto per l’integrativo, anche sulla mera scorta di differenti valutazioni di elementi già acquisiti dall’amministrazione, è importante notare che, come sancito nella decisione n. 1233 del Consiglio di Stato, l’atto sostitutivo può essere emesso anche dopo la sentenza del giudice tributario che dia ragione al contribuente, ovviamente con il limite delle sentenze divenute definitive come espresso da Cass. N. 24620/06.