Nel pieno della crisi vi sono, come direbbero i gestori di portafoglio, asset class che paiono anticiclici, decorrelati dalla congiuntura.
La grande crescita di acronimi e neologismi, per lo più inglesismi, è un trend ormai costante e con ottime previsioni, pardon, forecast di crescita.
A prescindere dal “cool effect” che offre lo short-cut linguistico in maniera obliqua e assolutamente democratica, a chiunque se le voglia infilare in bocca, c’è sicuramente qualche cosa di più significativo dell’esigenza o della voglia di farsi vedere al passo coi tempi, parlando di spread al bar e magari cercando di indicizzare cappuccio e brioche con l’andamento dei titoli di debito pubblico per sentirsi parte attiva dell’economia globale.
Quando la realtà non è piacevole da guardare sembra emergere un insopprimibile desidero, un istinto reattivo, di colorarla con toni diversi e più accettabili.
Una delle creazioni più inquietanti mai sentite è nata nella realtà più tragica, la guerra.
I marines “seccati” dalle pallottole dei loro compagni non sono vittime di guerra ma casualties da “friendly fire”.
Vuoi mettere il sollievo per la vedova nel sapere che il calibro nove che mandò al Creatore il marito era “friendly” e non “hostile”. Il giochetto linguistico non facilita le cose alla vedova ma a chi deve rappresentare la realtà che egli stesso ha creato, causando quella vedovanza e altri disastri.
Anche le derive finanziarie sul versante neolinguistico sono riconducibili a questa logica.
Il grande pubblico s’è abituato. Prova ne sia che anche mia madre chiede chiarimenti al riguardo e fa pure commenti, a sentir parlare di EFSM, ESM, QE 1, 2, 3, LTRO, Buba, PIGS, BRICS, big bazooka, che negli anni 60 sarebbe stato sicuramente un porno-cult ed oggi invece esprime solo la virilità monetaria di un banchiere centrale, e da ultimo OMT e, da ultimissimi, di ECCL e PCCL, e non si tratta, attenzione, di nuove miscele o combustibili a basso costo messe a disposizione dall’Unione e pronte per l’erogazione nel distributore sotto casa.
Insomma ci manca veramente solo il WTF (what the fuck), per completare la lista, come ben espresso, in tipico humor inglese, dall’Economist della settimana scorsa.
Nelle classifiche degli acronimi più quotati però non ha mai fatto comparsa, almeno sulle pagine della nostra stampa, quello più importante, o comunque uno che di attenzione sicuramente ne merita tanta.
Target 2, che sta a significare Trans-European Automated Real-time Gross Settlement Express Transfer System.
Non è roba che si mangia e nemmeno l’apertura d’una primordiale preghiera celtica cantata da Bossi e Belsito ai tempi d’oro, ma è la piattaforma tecnica sulla quale è appoggiata l’unione monetaria.
Soprattutto è anche l’arcano sistema che ha permesso ai PIGS (altrimenti detti i paesi del sud con le pezze al culo) di finanziarsi a spese, e forse tra un poco anche a scapito, delle probe cicale del nord, capeggiate dalla Germania che adesso, comincia a perdere il sonno al pensiero di perdere i soldi prestati.
Il Target 2 è un sistema, una “piattaforma” che facilita l’esecuzione di transazioni commerciali intra-europee e che trova il suo compendio nel Fractional Reserve Banking System ed in un sistema monetario basato sul FIAT money. No Marchionne stavolta non c’azzecca nulla.
In parole povere, che poi son sempre le migliori, oggi particolarmente adatte al clima generale: quando un operatore commerciale greco compera un BMW 320 per fare delivery di yogurt porta a porta, garantendo stile oltre che servizio alla sua clientela, va a chiedere i soldi alla sua banca locale di Mikonos che chiede, a sua volta, alla banca centrale greca di “creare” il denaro necessario per quella transazione. Qui entrano in gioco le riserve frazionali. Il che in parole povere significa che le banche greche non hanno nei loro forzieri tutto il denaro fisico necessario per far comprare tutte le BMW richieste dai produttori di yogurt greco e quindi chiedono alla loro banca centrale di “creare” quel denaro….FIAT money appunto.
Siccome il bene in questione, BMW 320, è tedesco, la Banca Centrale Greca, dopo aver “creato” il denaro necessario per la transazione “spedirà” il proprio diritto di credito verso la banca locale greca alla Buba (Bundesbank) che se lo registrerà come un diritto di credito non verso la Banca Centrale Greca ma bensì, e qui sta la chiave del tutto, verso la BCE che farà, in sostanza da garante per la transazione o, meglio, per tutte le transazioni intraeuropee.
Prima della crisi i crediti presso la BCE registrati da Buba erano prossimi a zero perché le transazioni commerciali da nord a sud, e viceversa, si annullavano. Oggi invece Weidmann ha 500 miliardi di euro registrati sui suoi libri.
Problema: anche sei i crediti sono vantati verso BCE, il biondo governatore ha paura di restare col cerino in mano.
Le paure non possono essere ridotte a “paranoie” da ordine teutonico.
Il deficit dei PIGS è stato finanziato, con crediti a breve termine, dalla banche francesi e tedesche che poi, a causa delle incertezze sulla solvibilità dei debitori, hanno ritenuto di stringere il rubinetto del credito.
A ciò si è aggiunto il fatto che i correntisti spagnoli, greci e portoghesi, anch’essi poco fiduciosi della solidità del sistema bancario dei loro paesi, hanno iniziato a dirottare i loro depositi sulle banche del nord. Il nord ha quindi aumentato a dismisura le proprie posizioni di credito e il sud ha accresciuto il proprio debito dando luogo ad una situazione di strutturale squilibrio tra i due poli geografici.
Se è vero che BUBA vanta i suoi crediti verso BCE (garantiti dai titoli di debito pubblico che BCE ha in pancia) è evidente che in caso di default di uno dei paesi del “club-med”, neologismo questa volta alla francese, quei crediti diverrebbero inesigibili.
Ecco perché Weidmann di notte non dorme e strappa le lenzuola.
Al quadretto si aggiunga che, con buona pace dell’integrazione europea, i numeri dimostrano che la frammentazione finanziaria per i flussi di capitale si sta cristallizzando.
Le banche stanno cambiando i loro modelli di business, si “ritirano” entro i confini nazionali anche a causa delle normative che impongono di ristabilire sani margini di solvibilità.
Il ricco nord non presta più al sud dove, per altro, le banche sono impegnate in un vigoroso “deleveraging” che significa “non diamo più soldi a nessuno perché dobbiamo mettere a posto i bilanci”.
Il trend bancario è seguito anche dai privati. Tutti fanno “deleveraging”, ovvero non spendono più, men che mai a debito, contribuendo così a ulteriore stagnazione del mercato interno, ridotti introiti fiscali e tutta la catena che, come detto, ormai anche mia mamma conosce a mena dito.
Ecco allora lo sforzo titanico di Draghi che per ristabilire la pace monetaria, o l’apparenza della stessa, è costretto ad andare ben oltre il neologismo linguistico, per arrivare alla creazione di nuove categorie filosofiche che riescano a dare un senso a crasi logiche come quella “dell’infinito condizionato”.
E qui arrivano gli ultimi nati: l’ECCL, PCCL, ovvero i paletti, messi prima o dopo, che fissano le condizionalità all’ accesso ai programmi di sostegno finanziario. Più che ad un braccio teso e caritatevole, somigliano ad un TSO, Trattamento Sanitario Obbligatorio.
Non sorprende, dunque, che maggiore resistenza e ritrosia nei confronti degli aiuti umanitari di Francoforte arrivi proprio da quelli che ne sono i destinatari elettivi, Rajoi e Monti, gareggianti per negare l’indigenza.
I leader PIGS sono oscillanti tra l’esigenza d’immagine internazionale, per accreditarsi nei circoli del potere europeo, e le mene più casalinghe per dimostrare schiena dritta davanti ai diktat bancari.
In questa temperie sembra sottovalutato fino all’altro giorno l’impeto delle “masse”. I sondaggi tedeschi e le piazze greche, spagnole e portoghesi fanno sorgere molti dubbi sulla possibilità di lineari applicazioni di strategie elaborate al tavolino o tavolone che sia. Essi devono, prima o poi, fare i conti anche con chi non ha partecipato alla trattative.
Per il successo del piano di Draghi, che fa perno sulla “condizionalità”, è necessario che i ricchi creditori del nord “scuciano” e, nello stesso tempo,che i debitori, i leader e i cittadini, siano disposti ad accettare il credito.
Pacta sunt servanda, dissero i latini.
Draghi, legando a doppio filo la credibilità e l’indipendenza della BCE al rispetto dei patti da parte dei debitori, una volta che han preso i soldi, si richiama ai mores degli antichi.
Quegli stessi però aggiungevano “ad impossibilia nemo tenetur”.
Se, tra un anno, le condizionalità apparissero insostenibili agli occhi dei debitori e alle orecchie delle forze politiche che li rappresentano, vi sarebbe elevatissimo rischio che i patti siano carta straccia, al pari dei solenni impegni da memorandum, anche se light come lo vuole Monti.
Tutto finirebbe a “tarallucci and wine”, come dicono a Londra, questo sì un must linguistico oramai esportato e apprezzato.