La pubblicazione delle comunicazioni elettroniche dei banchieri porta alla luce le prassi deviate dell’industria del credito.

L’ennesima “secchiata” di mail riversate sui giornali fa registrare  l’ennesima impennata nel “tasso di imbarazzo” del mondo finanziario.

Dieci giorni fa Goldman Sachs, con i suoi “banchieri di Dio” è venuta alla ribalta grazie all’azione della SEC, la CONSOB americana, che ha accusato platealmente e senza mezzi termini, la più potente banca di investimento americana di frode nei confronti dei suoi clienti.

Le e-mails del vice presidente Fabrice La Tourre, che si autoproclamava il favoloso Fabrice, rendono bene la dimensione deviata che il gotha del mondo finanziario aveva raggiunto.

Il giovane banker francese, 31 anni, definiva, infatti, i propri prodotti come delle “mostruosità inutili”.

Lo scorso fine settimana,  una commissione del Senato ha “donato” alla stampa numerose comunicazioni interne dei bankers di Goldman che commentavano con entusiasmo la possibilità di realizzare fortissimi guadagni dal crollo dei titoli di debito strutturati che, anche Goldman, aveva messo sul mercato.

Le comunicazioni elettroniche non mietono vittime solo tra i banchieri ma tirano sul palcoscenico anche un altro importante, anche se meno “roboante”, attore della finanza globalizzata: le agenzie di rating.

Il sospetto nutrito da lungo tempo, almeno dal 2005, che le agenzie di rating fossero più che disposte a “smussare gli angoli” per favorire la positiva valutazione di complessi prodotti di finanza strutturata è oggi una assoluta certezza.

Il corriere elettronico è, sotto tale profilo, impietoso nel rendere manifesto un conflitto di interessi, così palese da divenire persino grossolano, che società del calibro di Standard&Poor e Moodys hanno bellamente ignorato, per garantirsi il continuo flusso di “business” dai ricchi e potenti clienti: tutte le più grandi banche di Wall Street.

Non sorprende dunque se ci ritroviamo oggi ad avere a che fare con una comunicazione del 2007 di un manager di Moodys ove si legge “se diamo un triplo A a questi prodotti o siamo diventati totalmente incompetenti o abbiamo chiaramente venduto la nostra anima al diavolo per arricchirci”.

Ancora più rivelatrice della vera e propria sindrome che si era impadronita delle agenzie di rating è una comunicazione di un vice presidente di Standard&Poor relativo al rapporto con la stampa finanziaria.

Nel 2007 era gioco facile per le agenzie di rating scrollarsi di dosso le allusioni a conflitti d’ interesse mai provati. Allora il mondo politico non era interessato, probabilmente perché non ne comprendeva il ruolo e le implicazioni strutturali, all’operato delle agenzie di rating.

Ma fu sufficiente, appunto nel 2007, una pubblica esternazione di Michel Prada, il regolatore francese, che apertamente accusò Moodys e colleghi di operare in un regime di conflitto di interessi di portata tale da rendere inevitabile per i professionisti della valutazione e della certificazione del rischio un futuro “radioso” come quello toccato a Arthur Andersen, fallita in unisono insieme ad Enron.

Mentre in pubblico si levava unisono il coro di indignazione di tutti gli operatori del rating che, con aria infastidita, bollavano come pure incompetenza tecnica  il paragone melograno di Prada, dietro le quinte lo scenario era ben diverso.

“A Prada avremmo dovuto rispondere forte e chiaro che se ci toccherà la stessa sorte di Artuhr Andersen non sarà, come sostiene lui, per mancanza di etica o avidità. Sarà solo per pura ed assoluta arroganza”.

Così scriveva nel 2007 un direttore di S&P ad un collega.

Come giustificare, se possibile, o almeno fornire una base di spiegazione razionale al comportamento di professionisti giustamente riconosciuti per la diligenza e scrupolo che ha caratterizzato il loro lavoro per anni?

La spiegazione più credibile sembra quella che vede l’involuzione dei professionisti del rating, cosi come quella dei banchieri, a piccoli, di per sé insignificanti, ingranaggi di un sistema complesso e globale ormai fuori controllo.

L’atmosfera nella quale si erano ormai abituati a vivere i banchieri ed i  managers delle agenzie di rating  era divenuta così rarefatta che celebrare l’implosione dei prodotti derivati sembrava assolutamente legittimo e senza rischio in quanto, quelle affermazioni, e quelle mails, non sarebbero mai dovute uscire dalle torri d’avorio nelle quali vanivano elaborati nuovi prodotti e modelli finanziari basati su analisi stocastiche completamente sconnesse da una realtà che doveva restare solo una astrazione algoritmica.

Nessun banker, nessun analista avrebbe mai pensato che la sfera di “privacy” sarebbe stata violata e che il blocco del flusso delle arterie dell’economia mondiale, infette di qui microbi che dovevano essere invece il più grande antidoto al ripetersi di rischi “sistemici”, così come profetizzato dal gran vate della finanza strutturata Alan Greenspan, avrebbe portato nel precipizio anche la torre.

Quali le lezioni da imparare? La prima è sicuramente che la crisi è la conseguenza di carenze strutturali del sistema finanziario globalizzato.

È sicuramente più conveniente individuare un capro espiatorio in un banker “deviato” o in un professionista delle tre carte su scala planetaria come Maddoff ma quello che serve è una riforma profonda ed una nuova regolamentazione dei rapporti che intercorrono tra gli attori principali, pochi, potenti e connessi, della finanza moderna.

La seconda è che tutto il sistema dell’elaborazione “oscura” ed il controllo del mercato del credito, appannaggio oggi dei gran sacerdoti della finanza e dei maghi alchimisti che si aggirano nei corridoi delle grandi banche e che guardano il mondo sottostante solo attraverso le vetrate dei loro uffici, deve essere portato alla luce del sole per evitare che i suoi operatori, sconnessi ed isolati dal mondo reale, perdano il più basilare senso della realtà.

Lunga vita dunque alla pubblicazione di tutte quelle comunicazioni elettroniche che riescono a squarciare il velo di segretezza ed a far penetrare la luce su di un mondo che è rimasto protetto e segreto per troppo tempo.