Non costituisce reato di peculato la condotta posta in essere dal pubblico dipendente che utilizza la linea telefonica per le proprie chiamate private purché il danno economico arrecato alla pubblica amministrazione sia di modesta entità.

Nel caso di specie, la Corte di Cassazione non ha ritenuto colpevole un sottoufficiale dell’Arma dei Carabinieri al quale era stato contestato l’utilizzo delle linee intestate alla Pubblica Amministrazione per le proprie comunicazioni personali.

Già con precedenti sentenze, la Corte di Cassazione si è pronunciata a favore di questo orientamento, affermando che “il fatto lesivo si sostanzia propriamente nella appropriazione che attraverso tale uso si consegue, delle energie, formate da impulsi elettronici, entrate a far parte della sfera di disponibilità della pubblica amministrazione, occorrenti per le conversazioni telefoniche (Cass. Pen. Sez. VI, n. 26595 del 6/02/2009) e ancora “l’elemento materiale è integrato allorché la condotta di abusiva appropriazione abbia avuto a oggetto cose di valore economico intrinseco apprezzabile e tali da arrecare e altrettanto apprezzabile danno patrimoniale per la pubblica amministrazione” (Cass. Pen. Sez. VI, n. 25273 del 9/05/2006).

Pertanto, è necessario che i beni sottratti all’amministrazione abbiano un valore economico consistente, al contrario se questi fossero di scarso valore, non sarebbero idonei a costituire elemento integrante della condotta di cui al reato di peculato ex art. 314 c.p.  (Cass. Pen. Sez. VI, n. 256 del 10/01/2011).