Attraverso la normativa di cui all’oggetto è stata estesa alle persone giuridiche la responsabilità per reati commessi in Italia (ed all’estero) da persone fisiche che operano per conto di una persona giuridica.

Tra i soggetti operanti vanno senz’altro individuati coloro che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione della persona giuridica, ma non possono essere neppure esclusi soggetti che non rivestono qualifiche di livello amministrativo o gestionale che però siano sottoposte alla direzione di chi le svolge.

In altre parole qualora una figura operante nell’ambito sociale commetta reati nell’interesse o a vantaggio della persona giuridica di appartenenza, quest’ ultima può essere sanzionata penalmente.

I reati che presuppongono l’applicabilità della disciplina sanzionatoria in capo alla società vanno individuati nei:

– delitti contro la P.A. quali ad es. indebita percezione di erogazioni, truffa a carico dello Stato o Ente Pubblico finalizzata al conseguimento di erogazioni, frode informatica in danno di un ente pubblico, concussione, corruzione;

– delitti contro la fede pubblica quali: falsità in monete ecc;

– reati societari quali: false comunicazioni sociali, falso in prospetto, impedito controllo, formazione fittizia di capitale ecc.;

– delitti in materia di terrorismo;

– delitti contro la persona;

– abusi di mercato quali aggiotaggio e manipolazione del mercato;

– Delitti in materia di sicurezza sul lavoro.

Peraltro il novero dei reati in cui si rende applicabile il sistema sanzionatorio ex L. 231/01 è potenzialmente suscettibile di espandersi in quanto il legislatore pare propenso ad allargare l’applicabilità della disciplina ai reati ambientali, alle frodi informatiche in generale e forse a quelli fiscali.

In sostanza, attraverso la legge 231 ed in presenza di violazioni di norme penali specificamente individuate o individuande nella legge stessa, all’Ente può essere contestata, in sede penale, una responsabilità del tutto autonoma, che sia aggiunge a quella riferibile a chi ha commesso il fatto reato.

Il sistema sanzionatorio previsto dalla norma si articola in:

– sanzioni pecuniarie;

– provvedimenti cautelari irrogabili dal Gip quali sequestri di beni e/o interdizione dalla conclusione di contratti con la P.A.;

– sanzioni interdittive quali:

–  interdizione dall’attività d’impresa ;

–  sospensione o revoca di licenze, autorizzazioni o concessioni attraverso le quali può essere esercitata l’attività d’impresa;

–  divieto di contrarre con la P.A. ;

–  esclusione di agevolazioni, contributi, finanziamenti e/o revoca di quanto già ottenuto a tale titolo;

–  divieto di pubblicizzare  beni e/o servizi;

–  confische;

– pubblicazione della pena;

– commissariamento.

Al fine di evitare il coinvolgimento della società nel fatto reato di chi opera nell’interesse o a vantaggio della stessa, l’Ente deve adottare un sistema di organizzazione e controllo idoneo, proporzionato e, soprattutto, coerente con la tipologia di attività d’impresa sua propria.

In tale logica dovranno essere individuate preventivamente le attività in cui possono essere commessi reati rilevanti ai fini dell’applicabilità delle disposizioni ex L 231 ; di conseguenza si renderà necessaria l’adozione di protocolli di programmazione in ordine alla formazione e attuazione delle decisioni dell’ente con riguardo ai detti reati.

In altre parole è necessario dotare la società di un modello organizzativo di gestione e controllo (c.d. codice etico) che, oltre ad attagliarsi alla struttura dell’impresa, preveda un efficace sistema di vigilanza che permetta all’impresa stessa di essere esonerata dalle responsabilità previste dal decreto 231.

Resta peraltro inteso che, sulla scorta della giurisprudenza penale già maturata sull’argomento, il fatto che l’impresa si doti di codici etici più o meno raffinati non è di per se’ sufficiente ad esimere l’impresa dalle responsabilità previste dalla detta legge laddove ad una “massa cartacea” anche importante non segua l’effettiva applicazione del codice etico soprattutto con riguardo all’impianto effettivo del sistema di vigilanza previsto.

In altre parole, per fare un paragone con una materia ben nota all’imprenditoria – che è quella della sicurezza dei luoghi di lavoro – la semplice predisposizione di tutta la documentazione correlata (p. es. quella di analisi dei rischi), come pure la individuazione del responsabile della sicurezza con previsione di una dotazione economica di cui questi possa fruire nell’espletamento dell’incarico, la previsione di attività formativa del personale e quant’altro, SENZA che poi di fatto quanto enunciato si traduca effettivamente in comportamenti fattuali, non è certo idonea a escludere e tanto meno lenire la responsabilità dell’imprenditore sotto profili penali e risarcitori e tanto meno ad evitare le rivalse degli Enti Previdenziali.

Infine, si ritiene opportuno svolgere un’ultima riflessione:

Qualcuno potrebbe pensare che la normativa di cui alla legge 231 sia stata pensata per grandi imprese (ed infatti l’esigenza originaria era prevalentemente quella di prevedere una regola  per settori sensibili quali il sistema bancario, le società finanziarie, l’edilizia, i trasporti, media e telecomunicazioni, energia e utilities) e che l’adozione degli strumenti previsti dalla predetta legge appaiano “logici” laddove si parli di grandi società soprattutto se gestite ed amministrate da soggetti professionali estranei ai titolari del capitale sociale delle medesime.

Nei fatti però la normativa merita di essere “ragionata” anche con un altro approccio che è quello secondo il quale anche qualora non vi sia distinzione tra chi gestisce la società e chi ne è titolare in tutto o in parte (c.d. società a conduzione familiare), il coinvolgimento della società in determinati comportamenti penalmente rilevanti degli amministratori è tutt’altro che trascurabile.

Premesso che ogni compagine sociale è evidentemente libera di non adottare alcuno strumento atto a conformarsi alla legge 231, pena però il rischio di essere coinvolta nei comportamenti penalmente rilevanti dei propri dipendenti (da quelli di altissimo profilo che amministrano o gestiscono l’attività d’impresa, ma anche dai sottoposti di questi ultimi), il regime sanzionatorio sopra descritto – e non ci si riferisce tanto e solo alle sanzioni pecuniarie che possono essere comunque di entità notevole – prevede misure temporanee e definitive che possono comportare la paralisi dell’attività aziendale.

Nel caso quindi in cui quanto sopra si verifichi nell’ambito delle società c.d. familiari il rischio di coinvolgimento degli amministratori (titolari delle partecipazioni) rischia di essere totale, nel senso che gli amministratori responsabili di fatti penalmente rilevanti previsti dalla L 231 oltre ad essere colpiti in proprio, lo sarebbero anche in via mediata in quanto titolari delle partecipazioni in una società a cui potrebbe essere impedito o precluso l’esercizio di attività d’impresa.