E’ nullo l’accertamento fiscale con il quale l’Amministrazione finanziaria contesta la deducibilità di costi derivanti da spese pubblicitarie, in quanto la scelta di investire nella sponsorizzazione dell’azienda rientra tra “le strategie e le scelte dell’imprenditore, che si assume il rischio dei relativi costi”.
Il contenzioso nasceva dall’impugnazione di due avvisi di accertamento (per gli anni di imposta 2007 e 2008), a fronte dei quali l’Agenzia delle Entrate riprendeva a tassazione i costi di pubblicità sostenuti dal ricorrente rispettivamente per €. 58.000,00 ed €. 42.000,00 a titolo di Iva, Ires ed Irap, oltre sanzioni ed interessi maturati e maturandi.
Il contribuente affermava la pacifica inerenza e deducibilità di detti costi, comprovati dal contratto di sponsorizzazione, dalle fatture, dalle foto degli eventi sportivi pubblicizzati, nonché dall’incremento sia del ricavato, sia dell’acquisizione di nuova clientela.
L’Ufficio, invece, deduceva il difetto di inerenza, il mancato assolvimento dell’onere della prova a carico della stessa società, nonché la condotta anti – economica e l’inesistenza del nesso strumentale di tali costi con l’esercizio di impresa.
La decisione dei giudici: la prova della non inerenza e indeducibilità grava sull’Amministrazione finanziaria. Inesistenza della fattispecie di contratto simulato ed abuso di diritto.
Come già illustrato precedentemente, la Commissione competente ha dunque accolto il ricorso stabilendo la totale infondatezza circa la non inerenza e indeducibilità dei costi pubblicitari, giacché lo stesso Ufficio non ha provveduto a contestare “né l’effettività della spesa […] documentata dalle fatture prodotte […] né che tale costo[…] sia una spesa di pubblicità e non invece una spesa di rappresentanza (v. Cass., Ord., n. 3422/12)”.
Ad ogni buon conto, prosegue la motivazione dei giudici, la spesa di sponsorizzazione per pubblicizzare la ragione sociale della società, in particolare, “la valutazione della congruità” o “sproporzione” del costo per la produzione del reddito dell’impresa, “compete all’autonomo giudizio dell’imprenditore, non avendo l’Ufficio contestato né l’entità della spesa e né la sua finalità”.
In definitiva giudici lucchesi – sulla base di un orientamento pro contribuente già espresso in precedenza dalla stessa Commissione (n. 160/05/12 e n. 110/03/12) hanno osservato che non possono sussistere “elementi sufficienti per qualificare il contratto di pubblicità come simulato, né per giudicare la fattispecie in esame come un’ipotesi di abuso di diritto ai fini elusivi”.