Se chiedete ad un vostro conoscente a che livello si posiziona l’Italia nel mondo come paese ad economia sviluppata con grande probabilità quest’ultimo vi dirà che siamo la quinta potenza economica nel mondo. La risposta sarebbe corretta se ci trovassimo ad inizio degli anni novanta, tuttavia nel frattempo sono passati vent’anni ed oggi il nostro paese ha perso numerose posizioni, scavalcato ormai da Brasile, India e Russia per PIL rapportato al PPP, senza dimenticare la tanto decantata Cina, dove PPP sta per Purchasing Power Parity, sostanzialmente un parametro macroeconomico che consente di confrontare uniformemente paesi soggetti a rapporti di cambio e tassi di inflazione uno diverso dall’altro. Il PIL ha ancora senso solo se parliamo della Unione Europea Area Euro o degli USA nel momento in cui si confrontano tra di loro i rispettivi paesi delle due aree monetarie. Il PIL infatti è ormai un parametro troppo generico per esprimere sia la crescita che il potenziale economico di un singolo paese.
Come tanti paesi sviluppati il nostro soffre tanto per la concorrenza con nuove aree emergenti quanto per il declino industriale che caratterizza molti settori e distretti industriali. Sono spesso ospite di associazioni di imprenditori e sindacati di lavoratori ed entrambi sono appesi ad un sottile filo di speranza e flebile ed incauto ottimismo. Quanto prima devono capire che è necessario abbandonare attività su cui non ha più senso competere sul mercato e concentrarsi invece a capitalizzare il lavoro ed i sacrifici delle generazioni precedenti. Non mi soffermo ad elencare che cosa scomparirà o perirà. Ma voglio invece soffermarmi su quanto sopravviverà e prospererà: mi riferisco nello specifico alle quattro A, rispettivamente arredamento, abbigliamento, alimentazione ed automazione. Se ci pensate rappresentano i settori strategici del nostro paese in cui ancora oggi si possono evidenziare centri di eccellenza e successo imprenditoriale che tutto il mondo invidia.
Queste aree di attività imprenditoriale possono ancora dare speranza ed indotto occupazionale alle generazioni più giovani, per questo motivo non ha senso lasciarle da sole ed abbandonate alle loro peculiarità, dovrebbero essere difese e protette come non mai (soprattutto ora che il paese è destinato ad almeno un quinquennio di depressione economica). La protezione dovrebbe essere focalizzata nei confronti della concorrenza extracomunitaria, soprattutto quella proveniente dall’Asia. Sappiamo che il WTO non consente l’applicazione (purtroppo) di dazi e tariffe doganali per lo sbarramento di merci considerate nemiche, pertanto l’unico espediente che rimane da percorrere è l’istituzione di requisiti ed attestati di qualità obbligatori che consentono di fare selezione su ciò che può entrare oppure no dalle dogane. Chi propone come unica arma di difesa i dazi doganali, sappia che deve ponderare anche l’influenza e l’ingerenza che hanno paesi ai quali si vuole fare la guerra che detengono una parte rilevante del nostro debito pubblico, come la stessa Cina con quasi il 4%, la quale può pertanto esercitare una significativa resistenza alla politica economica del paese.
Lo stesso vale per le principali piattaforme mercantili sotto la loro egida, a dimostrazione pertanto che si sta giocando una straordinaria partita a scacchi sul fronte del commercio internazionale: prima si controlla ed influenza il debito di un paese, dopo le porte di accesso e le infrastrutture logistiche delle merci (pensiamo solo al China Ingross Center di Padova) ed infine l’intera economia attraverso una lenta e silenziosa opera di penetrazione. Quest’ultima intesa in tutti i sensi. Nel panorama politico italiano odierno non vi sono forze politiche o sindacali in grado di farsi portavoce di un radicale processo di salvaguardia e protezione delle 4A: con rammarico ci accorgiamo che la gelosia imprenditoriale unita all’individualismo italiano che sono stati tra i fattori che hanno determinato in passato il successo e la forza dei settori delle 4A, con il tempo si trasformeranno presto nelle cause della loro stessa fine. Se possiedi una cosa a cui tieni molto e la lasci libera: non ti lamentare se dovesse sparire, significa che non è mai stata tua veramente (antico proverbio indiano).