Sin da bambino ho sempre sentito in televisione e letto nei giornali che in Italia vi è molta evasione fiscale. Quest’ultima rappresenta un fenomeno fisiologico legato alla natura umana che si manifesta in qualsiasi paese occidentale. Quello che generalmente desta preoccupazione o attenzione è la dimensione di questo fenomeno quando scavalca una soglia considerata non più accettabile. A seconda del paese e dei vari sistemi di accertamento del reddito questa asticella può oscillare da un 5% ad un 10% del PIL: in Italia questa soglia, con non pochi forse e distinguo, è stimata tra un 20% ed un 25%. A dire il vero comunque la maggior parte delle stime (anche autorevoli) sono supposizioni e congetture spesso frutto di modelli di calcolo inferenziali molto discutibili in termini di efficacia e validità. Comunque l’Italia non è il paese con la maggior economia sommersa in Europa, si comportano meglio del vecchio stivale altri contendenti come Bulgaria, Romania, Lituania, Polonia, Grecia e Cipro. I nostri vicini di casa sono decisamente più virtuosi: Regno Unito con 12%, Francia con il 15%, Germania con il 16% e Spagna con il 20%. Non esiste governo al mondo che non usi la lotta all’evasione fiscale come un proprio slogan per la campagna elettorale.
Quello che in pochi solitamente ricordano è che tali livelli di evasione fiscale includono anche il contributo delle organizzazioni criminali: ad esempio per l’Italia la stima dell’evasione generata da contribuenti infedeli che occultano od omettono il loro imponibile è oltre il 18%, e arriva al 23/25% se sommiamo la dimensione delle attività criminali. In Europa l’evasione fiscale si stima abbia consentito ai paesi notoriamente accoglienti e compiacenti di poter beneficiare nel corso degli anni di volumi di intercettazione piuttosto elevati, solo per la Svizzera si parla di oltre 200 miliardi, ma anche questi possono essere dati fuorvianti. Non mi stupirei se in questi ultimi anni in considerazioni di molte vicende elvetiche, una fetta consistente di questo tesoretto è volato verso giurisdizioni più confortanti per la tenuta del segreto bancario come Hong Kong, Panama, Bermuda o Dubai. Dopo la possibilità data dai precedenti scudi fiscali, in Italia è ormai preclusa (almeno fino adesso) la possibilità di una nuova regolarizzazione tributaria per condonare l’illecito fiscale commesso. Tuttavia si vuole dare ugualmente una ulteriore possibilità al contribuente di sanare almeno l’aspetto penale del fenomeno attraverso la procedura del voluntary disclosure.
Quest’utltima consente tramite un’autodichiarazione volontaria di versare in un’unica soluzione le imposte evase negli anni precedenti irrogate di sanzioni agevolate per violazione alla normativa sul monitoraggio fiscale. La convenienza di tale nuova procedura non è oggettiva, ma soggettiva: in sintesi dipende dalla propria storia personale. Nella maggior parte dei casi la procedura rischia di essere troppo onerosa (40/60% degli importi da regolarizzare) disincentivando quindi il contribuente infedele a mettere in atto soluzioni non convenzionali o di ripiego (accolandosi non poco rischio anche e soprattutto per la sfera penale). Il Governo Renzi, visti i suoi roboanti proclami di cambiamento nazionale ed istituzionale, a fronte di una conclamata inesistenza di mezzi finanziari a copertura di tali proposte, dovrebbe a mio avviso volgere lo sguardo oltre le Alpi e oltre l’Atlantico istituendo un nuovo piano di rientro dei capitali non scudati e mantenuti illecitamente oltre confine. Se mi trovassi al suo posto proporrei in Parlamento il Fondo di Permanenza Strutturale: quest’ultimo rappresenta una sorta di purgatorio finanziario concepito come un deposito vincolato per i capitali dei contribuenti italiani detenuti illecitamente all’estero al fine di consentirne la loro regolarizzazione.
In buona sostanza, gli italiani che detengono ancora illecitamente capitali frutto di evasione fiscale, possono conferire all’interno di questo fondo dedicato tramite una procedura di rientro codificata i fondi che detengono all’estero. Al fine di ottenere la regolarizzazione di tali poste, i capitali dovranno rimanere in deposito vincolato per cinque anni ad un tasso simbolico di interesse. Al termine di tale periodo potranno essere ritirati a fronte di una sanzione di regolarizzazione pari al 10% (si potrebbe anche con il 15%) e diventare patrimonio tax-free subito disponibile del contribuente che ha commesso l’illecito. Il patrimonio del fondo a questo punto potrebbe essere utilizzato per svariati impieghi: estinzione anticipata di emissioni di debito pubblico caratterizzato da interessi molto elevati, operazioni di rafforzamento patrimoniale nel capitale di alcune banche italiane, operazioni di buy-back sul flottante di società quotate in borsa italia o anche la cartolarizzazione dei debiti della Pubblica Amministrazione. Il beneficio per la fiscalità diffusa e i contribuenti non deve essere solo l’imposta percepita per la regolarizzazione dei capitali, ma la possibilità di godere di questi capitali per un periodo minimo di cinque anni ad un tasso di interesse fuori del mercato, in un momento in cui le risorse finanziarie sono centellinate o peggio assenti.