Il danno c.d. tanatologico o da morte immediata va ricondotto nella dimensione del danno morale, inteso nella sua più ampia accezione, come sofferenza della vittima che lucidamente assiste allo spegnersi della propria vita (nella specie la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva qualificato la predetta sofferenza della vittima come danno morale e non come danno biologico terminale , attesane l’inidoneità –essendo stato l’intervallo di tempo tra il sinistro e la morte di tre giorni- ad integrare gli estremi di quella fattispecie di danno non patrimoniale), Cass Civile , Sez. III, 13 gennaio 2009, n. 458.

La Suprema Corte ribadisce , per l’ennesima volta, la non risarcibilità del danno da perdita della vita (danno tanatologico); la morte dunque non costituirebbe la massima lesione del bene “salute”(posto che quest’ultima non può che presupporre l’esistenza in vita del danneggiato) bensì del bene “vita”. Ne deriva l’impossibilità di applicare a quest’ultimo pregiudizio l’impianto ideato per riparare le conseguenze del danno biologico .

Tale orientamento si pone comunque in contrasto con una parte della giurisprudenza di merito (Trib. Tropea 28.05.2001; Trib. Brindisi 05.08.2002, Trib. Foggia 28.06.2002) che ritiene la salute come componente essenziale del bene vita e quest’ultima un presupposto fondamentale della prima ; la distruzione dell’una non potrebbe così che comportare l’annientamento dell’altra. Per non considerare poi il fatto che a voler negare la risarcibilità del danno tanatologico si perverrebbe al paradossale risultato che “uccidere risulterebbe più conveniente che ferire” (trib. Venezia 13.12.2004).

La Corte ,infine , nella Sentenza in esame statuisce che nella ipotesi in cui  tra lesioni e morte sia intercorso un breve lasso temporale (nel caso di specie solo 4 ore) deve essere risarcito il danno da “sofferenza esistenziale” patito dal soggetto che lucidamente attende la fine della sua vita. Tale pregiudizio viene dunque qualificato come danno morale ossia come sofferenza soggettiva  in sé per sé considerata senza ulteriori connotazioni in termini di durata. La fase liquidativa dovrà ovviamente tener conto della peculiarità del caso concreto (tipologia , intensità delle sofferenze ecc…).

Un problema tutt’ora irrisolto è quello relativo alla configurabilità o meno del summenzionato danno (da sofferenza esistenziale o da agonia) nel caso in cui il danneggiato, nel breve periodo di sopravvivenza, sia rimasto incosciente anche se, ad onor del vero, appare complicato ammettere la sussistenza del pregiudizio in questione con riferimento ad un soggetto che non sarebbe in grado di provare dolore e/o sofferenze. Il dibattito è aperto.