Si dice che la diversificazione non abbia funzionato nella crisi finanziaria. L’opinione comune non è fondata in quanto la vera diversificazione non considera solo una differenziazione tra gli investimenti più rischiosi, come avvenuto nella crisi, ma si basa su una diversificazione tra investimenti “a rischio” ed investimenti “non a rischio”.

“Una volta” le classiche strategie  di investimento ruotavano intorno a tre elementi:

azioni: per la crescita a lungo termine;

buoni del tesoro: per la sicurezza;

liquidità: per garantire, appunto, liquidità.

Un decennio di crescita azionaria ha scardinato la “saggezza” e la prudenza della diversificazione “classica”. Gli investimenti in buoni del tesoro e liquidità venivano considerati come un freno inutile al ritorno sull’investimento.

L’investimento azionario diventava così prevalente e si espandeva fino a comprendere nuove forme  definite “alternative” come i fondi speculativi, il così detto “private equity” ecc.

Gli investimenti definiti “alternativi” promettevano una maggiore redditività senza rinunciare alle sicurezze della diversificazione classica. Nel decennio 1990 – 2000 i ritorni garantiti dalla nuova composizione dei portafogli hanno garantito ritorni fuori dalla norma. Le recenti “crisi di panico” dei mercati hanno però messo a dura prova la nuova strategia. La correlazione tra tutti gli investimenti con maggior grado di rischio (azioni, obbligazioni societarie e private equity) è arrivata ad “1” -ovvero non vi è diversificazione alcuna- ed il valore degli investimenti è crollato in unisono.

La diversificazione fatta solo nell’ambito di categorie di investimento comunque tutte “a rischio” è infatti illusoria in quanto non considera sufficientemente le correlazioni tra investimento e scenari di mercato.

Come rileva Goldilocks si possono immaginare tre scenari di mercato tipici:

“troppo caldo”: ovvero inflazione senza crescita buono per azioni e obbligazioni;

“troppo freddo”: ovvero deflazione e contrazione pessimo per azioni e buono per obbligazioni;

“quasi perfetto”: può significare crescita con inflazione in diminuzione – buono sia per azioni che obbligazioni- o con leggera inflazione, buono per azioni e non per obbligazioni.

Gli investitori dunque, in corrispondenza dei tre macro scenari sopra descritti necessitano di tre differenti “cesti” per i loro investimenti:

il primo cesto conterrà strumenti in grado di agganciare la crescita economica;

il secondo conterrà investimenti in grado di fronteggiare l’inflazione;

il terzo conterrà investimenti in grado di fronteggiare la deflazione.

Il primo difficile compito è quello di decidere cosa mettere, ovvero quali strumenti finanziari concreti, nei tre differenti cesti.

Il cesto contro la deflazione include sicuramente buoni del tesoro che servono anche da rete di sicurezza nei periodi di crisi come quello attuale. Il ruolo di protezione dei buoni del tesoro è stato evidente soprattutto in questa crisi che nonostante si sia prodotta negli USA ha visto gli strumenti di debito pubblico americano agire come principale porto franco nella burrasca finanziaria. La prossima crisi potrebbe però avere, anzi è probabile,  ripercussioni negative sul dollaro. Quindi sarà opportuno includere anche del debito governativo di altri paesi oltre gli Stati Uniti.

Il cesto anti-inflazione include titoli obbligazionari indicizzati al tasso di inflazione, contratti “future” sulle merci (acciaio, oro ecc) ed azioni di società attive sui mercati delle merci (produzione o estrazione di metalli, commercializzazione di prodotti alimentari ecc ecc).

Il secondo compito sarà quello di determinare le proporzioni di ciascuno cesto.

Al momento gli investitori hanno soprattutto bisogno di un grande cesto di “sicurezza” che però è diventato molto costoso così come il cesto contro la deflazione visto che i buoni del tesoro

non riconoscono grandi guadagni.

Il cesto più conveniente potrebbe essere dunque quello contro l’inflazione visto che si ritiene che quel problema sia ancora là da venire.

Siccome gli operatori finanziari avranno sicuramente opinioni molto diverse in relazione alle proporzioni di ciascun cesto non si vedranno, come in passato, delle strategie di investimento a senso unico con l’inevitabile aumento speculativo delle categoria di investimento più “gettonata”.

Se una maggiore consapevolezza della necessità di una vera diversificazione ( che pragmaticamente significa mettere nel cesto sia investimenti “a rischio” che investimenti “sicuri” e non solo diverse categorie di rischio, decidendo le strategie in base a scelte individuali e non seguendo senza giudizio la “corrente” finanziaria ) sarà debitamente e veramente riconquistata, avremo già imparato una buona lezione da questa crisi.