Gli esperti di macroeconomia, e nello specifico gli economisti del Fondo Monetario Internazionale,  sembrano voler offrire  una soluzione pronto uso alla problematica della riduzione del debito sia pubblico che privato.

Concretamente gli economisti dell’IFM propongono che le banche centrali modifichino i loro “target” di inflazione portandoli dal  2 al 4 per cento.

La ratio economica della proposta soluzione è la seguente: se il tasso di interesse non fosse stato pari a zero le banche centrali avrebbero avuto più gioco  per far pesare le loro scelte di politica monetaria e le medesime avrebbero avuto un maggiore impatto sul rilancio dell’economia reale.

La conclusione trova sostenitori ed oppositori, come sempre, assolutamente convinti delle proprie ragioni ed assolutamente certi dell’erroneità assoluta della tesi contraria.

Indipendentemente dalle teorie di macro economia però vi è un elemento sul quale, ad oggi, non sembra potersi dubitare e cioè che le politiche monetarie hanno deluso per la loro mancanza di coordinazione nonchè per la loro tardività.

È probabilmente vero che politiche monetarie discrezionali siano uno degli strumenti più efficaci per far fronte alle crisi come quella che l’economia mondiale si trova, ancora, ad affrontare.

Tuttavia dedurne, necessariamente, che siano necessari dei target di inflazione più elevati è, quanto meno, questionabile.

Le conseguenze poi di una crescita degli obiettivi di inflazione sarebbero tutt’altro che secondari.

La prima considerazione riguarda l’impatto che un aumento dei target avrebbe sulla credibilità delle banche centrali.

Da tali ultime ci si attende infatti che le medesime siano capaci di contenere l’inflazione e che non usino o abusino della libertà di “settare” quei targets al fine di trovare soluzioni contingenti, come potrebbe essere il caso di un aumento per far fronte alle difficoltà della crisi economica.

Un aumento del tasso di inflazione accettabile dal 2 al 4 per cento potrebbe, fondatamente, ingenerare il convincimento che altri aumenti o variazioni potrebbero susseguirsi.

In secondo luogo è fondamentale esaminare come tali cambiamenti potrebbero interagire con le caratteristiche di funzionamento tipiche dei mercati finanziari globalizzati di oggi, caratteristiche che non sono sicuramente tenute in considerazione dagli attuali modelli macroeconomici.

Un aumento dell’inflazione spingerebbe, con tutta probabilità, il mercato obbligazionario a dover riconoscere cedole elevate aumentando cosi il rischio di insolvenza sia nel settore privato che in quello pubblico.

Il tasso di interesse dovrebbe poi aumentare a livelli, anch’essi, difficili da sostenere.

Infine un aumento dell’inflazione è, di per sé, un movimento economico asimmetrico.

Se da un lato, infatti, gli USA ed il Regno Unito potrebbero avere buone ragioni ed interessi per seguire quel tipo di soluzione, l’unione Europea non potrebbe mai allinearsi a pena di  spaccarsi.

La Germania infatti non potrebbe mai accettare un aumento del target di inflazione. In costanza di una decisione della Corte Suprema un cambiamento del tasso di inflazione sarebbe considerato come una violazione della base contrattuale sulla quale poggia l’Unione. La Corte Costituzionale tedesca avrebbe pertanto buon titolo per dichiarare “nulla” l’appartenenza della nazione all’Unione Europea.

Un rischio simile, ovvero quello della disintegrazione dell’Europa, non sarà mai preso dalla Banca Centrale.

Ma a prescindere, si fa per dire, dalle considerazioni tecniche di cui sopra, che fanno sorgere serissimi dubbi sulla percorribilità pratica e tecnica di un allentamento delle politiche di controllo dell’inflazione a livello europeo, il nodo centrale della questione è che mentre i macroeconomisti trattano e considerano l’inflazione come una variabile, noi, ovvero il mondo dei consumatori e degli imprenditori, insomma l’economia reale, non accettiamo di vedere e considerare l’inflazione come una mera variabile economica da aggiustare a seconda delle ciclicità nella quali, di volta in volta, ci si trova.

La stabilità dei prezzi è un elemento portante di quel contratto sociale che viene comunemente chiamato denaro.

Noi consideriamo il denaro, nella sua essenza, come un “magazzino” di valore. E noi ci aspettiamo anche che le banche centrali non pongano in essere manovre atte a compromettere la solidità di quel deposito di valore.

Il problema dunque non è tanto discutere di quanti punti aumentare o meno il tasso di inflazione accettabile. Il problema sta nel fatto che non si dovrebbe trattare tale tasso come una mera variabile economica.

Una delle lezioni fondamentali  impartite dalla crisi è che la stessa ci ha insegnato che non esistono modelli macroeconomici in grado di considerare tutte le variabili di un’economia caratterizzata da mercati finanziari complessi ed ormai integrati a livello mondiale.

Gli impatti di una modifica delle politiche di controllo dell’inflazione non possono, ad oggi, essere concretamente misurate e preventivate nei loro concreti effetti.

Il discorso dunque dovrebbe essere affrontato con molta più prudenza di quanto abbiano fatto i macroeconomisti dell’IFM